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Editoriale
di Porpora Marcasciano
Vice Presidente M.I.T. Bologna
Sono tanti e soprattutto seri i motivi che fanno immaginare il pride del 3 luglio a Roma come altro, totalmente altro dall’evento che eravamo abituati a festeggiare. Tante le ragioni per dissociarsene e sentirlo distante dal nostro orgoglio. Del resto era prevedibile che in un’Italia dove tutto si è storto, il Pride seguisse la stessa sciagurata tendenza!
Nella sua organizzazione, salta vistosamente all’occhio l’assenza delle persone trans, sia a livello simbolico che fisico, eppure sono state proprio loro ad aprire il percorso della liberazione.
Spicca invece la sola presenza di una donna trans dichiaratamente di destra (Gay Lib) dichiaratamente contro la prostituzione, contro i consultori (quello del MIT per esempio), contro tutti i percorsi considerati da lei e dagli altri organizzatori come “antagonisti”.
Credo che Sylvia Rivera, se mai ci fosse stato confronto, qualcosa da gridare a questa persona l’avrebbe sicuramente avuta!
Ben altri dubbi si addensano come nuvoloni, su quel pride. Già in un precedente comunicato, ho avuto modo di esprimere dubbi e perplessità e li ribadisco: le posizioni politiche di Imma Battaglia in merito alla qualità della vita di gay e lesbiche in Italia (lei sostiene che stanno in gran forma); l’organizzazione affidata a uno psicologo (il nostro percorso di visibilità nasce proprio dalla contestazione di un loro convegno nel 1972); attacchi aggressivi e violenti che sfiorano la rissa, con l’immancabile rigiro della frittata per porsi come le vittime, copione oramai consolidato di tutte le neo destre emergenti (ricordate la favola del lupo e dell’agnello?); le loro aperture alle destre più o meno estreme e la condanna metodica e continua del laboratorio antagonista; la commistione grossolana tra eventi commerciali e politici, tra profitto e rivendicazione (di questo parleremo meglio ad evento avvenuto).
Se la matematica, per non dire la storia, non inganna e due più due fa quattro, l’organizzazione di questo pride è quanto di più lontano e antitetico, da un percorso di liberazione, quindi dal Pride, che, se anche l’inglese non inganna dovrebbe significare orgoglio. Per tutti coloro (e sono tante e tanti) il cui percorso è tracciato dalla liberazione è difficile non intravvedere in quello romano un pericoloso cambio di rotta, uno scivolone verso il baratro, checché van cantando le voci bianche che invocano unità. Non si costruisce unità sulla confusione, tantomeno sulla negazione di un percorso, mi riferisco a quello che da Stonewall porta a noi, visto gli attacchi concertati e indiscriminati contro il mondo delle associazioni.
Da un po’ di tempo mi ostino a ripetere, a rischio di noia, che c’è bisogno di riprendere e ridare una costruzione di senso, un senso nostro, fondamentale per tracciare la nostra storia, appropriarcene.
Operazione non facile, non lo è mai stata in un mondo sessista…veteropatriarcale! Ma un movimento serio e maturo che vuole sentirsi e definirsi tale, dovrebbe prendersi questa responsabilità, ha l’obbligo di darsi o quantomeno ricercare quel senso che altri e solamente altri hanno dato per noi.
Oltre al fin troppo scontato confronto continuo e costante, alla base della nostra costruzione dovrebbe esserci la coscienza, altra parola passata in disuso, del famoso quanto banale “chi siamo, da dove veniamo e….dove stiamo andando!” Attraversiamo un’epoca in cui il filo del discorso, ovvero la costruzione di senso, si è ingarbugliato, si è spezzato, confuso. Un mondo in cui tutti parlano -questa è l’illusione- ma in cui diventa sempre più difficile parlare, dire, capire e farsi capire. Un’operazione abilmente manovrata da precise strategie che un giorno, spero non molto lontano, si scoprirà essere l’arma, per quanto mi riguarda, non troppo segreta delle destre: meno si capisce più si manovra!
La narrazione, la nostra, è fondamentale per la nostra esperienza! In essa c’è scritto dove nasce la negazione e dove la nostra visibilità, dove si genera violenza e dove liberazione, dove si genera esclusione e dove diritto! In quella narrazione, che non è personale ma collettiva e riguarda trans, gay, lesbiche, donne, immigrati, esclusi di ogni specie, è stampato il mio j’accuse al neo pride romano: state facendo una brutta cosa! Il 28 Giugno 1969 accadde qualcosa che è corpo e sostanza del movimento di liberazione GLTQ, è la sua narrazione…non quella che si cerca di manipolare! Così facendo si snatura il Pride si svilisce, si elimina il suo spirito, di questo purtroppo ci si rende conto sempre dopo.
Sabato scorso ho partecipato al Sicilia Pride di Palermo ed è stato veramente favoloso, come in contemporanea quello di Torino (non dimentichiamo la formula del suo successo), come quello del 12 a Milano... In the spirit of Stonewall!
Ed è in questo stesso spirito di sostanza e di liberazione che si terrà il Pride nazionale di quest’anno a Napoli, sabato prossimo 26 giugno.
Non datemi dell’antagonista, ma è il minimo che ci possa sussurrare la nostra coscienza!
martedì 22 giugno 2010
DA STONEWALL AL PAY PRIDE
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